Un giorno della scorsa settimana sono andata a fare volontariato alla CARITAS che, per chi non lo sapesse, è un organismo pastorale che ha il fine di promuovere, anche in collaborazione con altre organizzazioni, attività volte ad aiutare i più bisognosi. In particolare, io mi occupavo di consegnare gli alimenti di prima necessità.
Da quel giorno, nonostante io abbia sempre svolto attività di volontariato in altri campi, mi tormenta una domanda: come fanno, coloro che lavorano in queste realtà, a controllare la propria empatia? Questa domanda parte proprio dai sentimenti che ho provato nel momento in cui, di fronte a me, si è presentata una donna con due bellissime bambine per chiedermi qualcosa da mangiare. Sentivo dentro di me una serie di emozioni che, probabilmente, nonostante siano passati dei giorni, non so ancora spiegare.
Questa mia incapacità di spiegare quelle emozioni è dettata dal fatto che, nella società in cui viviamo oggi, continuano ad esserci odio, disuguaglianze e individualismo. L’importanza dell’empatia e dell’aiuto verso il prossimo, sono considerati valori da moralisti, deboli, incapaci…
Gli occhi di quelle due bambine pieni di gioia e amore, hanno provocato in me un uragano di emozioni contrastanti: da un lato, sentivo la mia grande impotenza di fronte alla povertà che ci circonda; dall’altro, avrei voluto dar loro tutto ciò che avevo in quel momento. Ancora oggi, non mi do pace. Quell’immagine mi appare in mente sovente e, nel mentre, cerco di immaginarmi un mondo migliore; un mondo dove il prossimo non è considerato un avversario, una persona diversa, una persona che ha più o meno di noi. Un mondo in cui i giovani possano sempre di più avvicinarsi al volontariato, cercando di capire chi voler essere e credendo in un futuro migliore. Inoltre, vorrei che il termine empatia fosse utilizzato costantemente, che “l’altro” possa essere considerato come noi, qualsiasi sia il colore della sua pelle o qualunque sia il suo stipendio.
Vorrei che gli occhi di quelle due bambine, possano sempre brillare di gioia; che possano non vedere tutto il degrado che c’è intorno a noi; che possano vivere in un ambiente migliore e che non vengano mai dimenticate.
Alla domanda che mi tormenta, ovvero: come si fa a controllare la propria empatia? probabilmente non avrò mai una risposta. Il motivo? Beh, perché di fronte ad altre persone, non c’è cosa più bella che provare delle emozioni, qualunque esse siano; che possa essere la felicità, la tristezza o la compassione. Il bello è proprio non riuscire a controllare la propria empatia quando si entra in contatto con un’altra persona, che in questo modo si sente apprezzata per ciò che è e non umiliata o denigrata.
Comprendere le proprie emozioni, è qualcosa di molto difficile: nessuno ci ha mai spiegato come si fa. Comprendere le proprie emozioni significa dare un senso alla propria vita e credo che per farlo, si debba creare un cerchio di solidarietà che unisce tutti gli esseri umani.