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Lo sport per disabili e i suoi campioni

L’argomento che andremo a trattare nell’articolo di questa settimana è di un fascino unico. È un evento che risplende di una luce talmente abbacinante da risultare quasi magico: oggi parliamo dello sport e, nel particolare, dello sport per disabili.

Lo sport è un’arte capace di riunire sotto la stessa bandiera etnie differenti e persone con una visione opposta del mondo. Tramite le discipline che derivano dall’idea dello sport, le persone fanno squadra per raggiungere un obiettivo comune, oppure il singolo supera i propri limiti per oltrepassare traguardi che lo aiutano a rimanere motivato. Fare attività fisica è scoprire sé stessi; la fatica libera dai pensieri opprimenti e ci sgombera la mente, lasciandoci in uno spazio vuoto dove il pensiero è libero di vagare, e così scopriamo cose di noi che fino a pochi attimi fa non comprendevamo. Dunque, se veramente siamo figli degli stessi antenati, e tutti siamo vittime dei pensieri negativi che in molti sconfiggono attraverso lo sforzo fisico, allora dobbiamo far sì che lo sport sia di tutti. Nessuno che voglia sfogarsi attraverso l’esercizio fisico merita di rimanere escluso, compresa quella minoranza che, per un motivo o per un altro, si ritrova senza gli arti principali che la maggior parte ha e che da per scontati: le mani, le gambe, i piedi, le braccia; c’è chi è nato senza queste parti del corpo ma, per amore dello sport, non si è arreso, e ha dimostrato al mondo intero che l’essere umano, quando messo alla prova, trova sempre il modo per seguire le proprie passioni.

È il caso di Beatrice Maria Adelaide Marzia Vio o, meglio ancora, Bebe Vio – così si fa chiamare, chissà perché, d’altronde ha un nome così semplice! Lei, danzando sulla sedia a rotelle, e colpendo con formidabili colpi gli avversari durante i match di scherma, ha portato alla luce una realtà ancora troppo poco conosciuta: il fioretto individuale paralimpico. Ovviamente stiamo parlando di una fuoriclasse, che può vantare un curriculum non indifferente: un oro ai giochi paralimpici individuali del 2016, seguito da un bronzo in squadra ottenuto lo stesso anno; tre medaglie d’oro ai campionati mondiali, quattro medaglie d’oro ai campionati europei e un argento… e la ragazza, con i suoi ventitré anni, ha appena cominciato. Come avrete capito, Bebe è nata per fare quest’attività, ma il più grande merito che le va attribuito è un altro: la capacità di trasmettere, tramite la sua graziosa semplicità, un messaggio che è riuscito a cambiare moltissime vite, ovvero che lo sport è di tutti, e nemmeno il fato, per quanto funesto, può portarlo via dal cuore dei coraggiosi.

Beatrice sta ispirando tutti, non solamente i disabili, e ci sta dimostrando giorno dopo giorno, goccia di sudore dopo goccia di sudore, quanto sia potente la passione. Nonostante la malattia del sistema nervoso centrale – la meningite – che l’ha colpita alla tenera età di undici anni e che ha costretto i medici ad amputarle braccia e gambe, lei, come una fenice di fuoco che illumina il cielo notturno, è riuscita a rinascere e a far cambiare, grazie al suo sorriso colmo di contagiosa positività, la prospettiva di migliaia – se non milioni – di persone sulle condizioni dei disabili.

Ma non bisogna essere Bebe per trarre beneficio dallo sport, l’importante è fare ciò che ci piace, senza porsi dei confini.

Voglio chiudere l’articolo di oggi incoraggiandovi ad andare a seguire Bebe Vio sui social, dove è molto attiva; è davvero una ragazza incredibile ed è bravissima a mettere di buon umore!