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DPCM

In questo ultimo periodo è quasi impossibile guardare un qualsiasi telegiornale senza sentire almeno una volta la sigla DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), nello specifico, di cosa si tratta?

Esso fa parte della categoria giuridica dei decreti-legge, atti aventi forza di legge emanati dal governo che hanno la stessa efficacia di una fonte primaria del diritto, ossia una legge del parlamento, e che perciò sono in grado di abrogare atti normativi di pari grado e di resistere all’abrogazione da parte di atti normativi di grado inferiore.

In primo luogo, i decreti-legge sono disciplinati dall’Articolo 77 della Costituzione Italiana, il quale li descrive appunto come “decreti che abbiano valore di legge ordinaria”, per poi enunciarne i caratteri più importanti. Il primo di questi è il “caso straordinario di necessità e di urgenza”, infatti, il governo è legittimato ad emanare decreti-legge unicamente in caso di una necessità o urgenza fuori dal comune, essendo questo uno strumento capace di eguagliare la prerogativa del Parlamento di produrre atti normativi di rango primario. Il secondo carattere fondamentale dei decreti-legge è la loro “provvisorietà”, la loro efficacia, dopo essere stati pubblicati, si protrae unicamente per sessanta giorni, dopo i quali necessitano di essere convertiti in una legge ordinaria dal Parlamento, altrimenti smettono di produrre i propri effetti anche retroattivamente.

La ragion d’essere di questo strumento per il governo è chiara osservandone le caratteristiche e conoscendo la procedura “standard” di produzione di atti legislativi, questa infatti può necessitare di una quantità di tempo di cui, nei casi di urgenza, raramente si dispone. In questi casi entrano in gioco i decreti-legge, che vanno a disciplinare una materia d’urgenza ed hanno una breve durata proprio nella speranza che questa situazione straordinaria, proprio in quanto tale, abbia breve vita. Essi inoltre sono una prerogativa del governo perché, oltre al fatto pratico di una maggiore celerità decisionale, esso poggia sulla fiducia della maggioranza parlamentare, perciò può, in questi casi, farne le veci ufficiosamente.

Data la sua natura, nel tempo questo strumento è stato spesso abusato, sia poiché è il governo stesso a decidere se sussiste o meno la “straordinaria necessità o urgenza”, sia in quanto alcuni governi reiteravano lo stesso, o simile, decreto qualora questo non venisse convertito in legge dal Parlamento. Per sanare questi “vizi di forma” è intervenuto sia il legislatore, sia la stessa Corte Costituzionale.

Il legislatore ha infatti disciplinato in modo importante i decreti attraverso la legge 400 del 1988. Nell’Articolo 15 afferma che i decreti-legge, una volta presentati al Presidente della Repubblica per essere emanati, devono contenere anche un preambolo in cui il governo indichi le circostanze straordinarie ed urgenti che ne giustifichino l’adozione. Quando fa uso dei decreti-legge il governo non può inoltre delegarsi la facoltà legislativa, legiferare su materie che necessitano obbligatoriamente della procedura di approvazione normale da parte delle Camere durante l’iter legis, rinnovare le disposizioni dei decreti-legge la cui conversione in legge è stata rifiutata da almeno una delle due Camere, regolare le conseguenze di decreti-legge non convertiti o ripristinare l’efficacia di disposizioni dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale. L’Articolo 15 continua affermando che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e che il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e coerente con le ragioni citate nel preambolo.

Pur essendo piuttosto esaustiva, la legge 400 del 1988 non risolse appieno i problemi relativi agli abusi dei decreti-legge, essa infatti vietava la reiterazione dei soli decreti la cui conversione era stata rifiutata da una delle due Camere, non di quelli che decadevano a causa della scadenza dei 60 giorni e su cui il Parlamento non riusciva a votare in tempo per la conversione o meno.

Fu così che dovette intervenire la stessa Corte Costituzionale, che, con la sentenza 360 del 1996, dispose l’incostituzionalità della reiterazione dei decreti-legge, in quanto contraria all’Articolo 76 della Costituzione, disciplinante che “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi, per tempo limitato ed oggetti definiti”, unica eccezione a ciò è il perdurare della situazione straordinaria di urgenza.

In sintesi dunque, quello dei decreti-legge è uno strumento utile quanto pericoloso, ma necessario laddove bisogni agire rapidamente per gestire una crisi e la procedura legiferante del Parlamento può risultare troppo lenta o compromissoria.