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La Bielorussia di Lukashenko: disillusione della democrazia

Come sopravvive l’ultima dittatura d’Europa tra proteste interne ed influenze internazionali

A cura di Lorenzo Barbanti, Sara Boscherini, Lamis A. H. Khodir, Marta Luciani.

Parlare della Bielorussia e dei motivi scatenanti le proteste che la stanno attualmente travolgendo significa, innanzitutto, parlare del suo Presidente. Alexander Lukashenko esordisce sul palcoscenico politico solo nel 1990, dopo una carriera tra ranghi militari e funzionariato locale di partito, con l’elezione a deputato del Soviet Supremo della RSS Bielorussa; sarà l’unico, un anno dopo, a votare contro la dissoluzione dell’URSS.

In quelle che verranno ricordate come le prime ed uniche elezioni veramente democratiche della storia del Paese Lukashenko si presenta come un outsider: l’uomo del popolo, intenzionato a ripulire i quadri dello Stato dalla corrotta amministrazione sovietica pur rimanendo fedele alla Russia, evitare l’inflazione senza però discostarsi dall’ordine costituito dell’ereditato statalismo. La vittoria di un tale candidato anti-establishment (con il 45,8% dei voti al primo turno e l’80,6% al secondo) era per gli osservatori internazionali motivo di speranza per l’approdo ad una democrazia pluralista.

Da quel momento la condotta di Lukashenko lo porterà ad esser considerato da molti commentatori occidentali come “l’ultimo dittatore d’Europa1. In nessuna delle successive elezioni otterrà mai meno del 75% dei consensi, anche se l’ultima proiezione di attendibile provenienza (2016) lo darebbe circa al 30%. In ognuna di queste occasioni si sono avvicendate accuse di brogli su vasta scala, sanguinose repressioni poliziesche delle proteste, casi di omicidio, rapimento, arresto e sparizione di candidati, diretti oppositori o semplici cittadini non allineati col governo, con altrettanto puntuale condanna da parte di osservatori internazionali e potenze occidentali.

Modifiche Costituzionali

Nell’estate del 1996 Lukashenko indisse un referendum costituzionale consultivo, allo scopo di aumentare sensibilmente i suoi poteri (fino ad essere pieni, ad esempio, in ambito d’iniziativa economica) e diminuire contestualmente quelli del Parlamento. Il Consiglio Supremo avanzò quindi una controproposta, che prevedeva la trasformazione della Bielorussia in una Repubblica Parlamentare. Nonostante la Corte Costituzionale avesse deciso che i risultati del referendum non avrebbero avuto carattere obbligatorio, Lukashenko dichiarò con un editto l’obbligatorietà giuridica di tali risultati, motivo per cui un gruppo di parlamentari avviò la procedura di messa in stato d’accusa del Presidente.

La crisi governativa fu sventata grazie alla stipulazione tra alcuni inviati del governo russo, Lukashenko ed il Presidente del Soviet Supremo Sharetski di un accordo segreto che contemplava il ritiro delle accuse in cambio dell’annullamento dell’editto. Tuttavia, poiché la parte filo-presidenziale del Parlamento non accettò l’accordo, egli poté mantenere in vigore l’editto e indire il referendum con carattere obbligatorio, approvato nella parte relativa all’estensione sia dei poteri che del suo mandato (teoricamente di 5 anni), prolungato fino al 2001.

I risultati non furono considerati validi e ne furono denunciate falsificazioni, sia dall’opposizione che dal presidente della Commissione Elettorale Hanchar, che venne rimosso in risposta. Da questo

1 Rice: Belarus is dictatorship, in «CNN world edition», 20 aprile 2005, http://edition.cnn.com/2005/WORLD/europe/04/20/rice.belarus/.

momento la Bielorussia inizierà a non essere riconosciuta più propriamente democratica né dagli USA, né dall’OSCE (ad eccezione dei membri della CIS), né dall’UE.

Poco dopo Lukashenko sciolse il vecchio Soviet istituendo la Camera dei Rappresentanti, considerata come la camera bassa dell’Assemblea Nazionale bicamerale.

Nel 2004 si svolse un secondo referendum costituzionale, tramite il quale fu eliminato il limite di due mandati presidenziali a persona. Neanche in questo caso il Parlamento si pronunciò sulle presunte falsificazioni dei risultati, né sull’incostituzionalità del quesito.

I poteri del Presidente nella Costituzione

La Costituzione trasformata dalle modifiche riflette la portata sproporzionata delle prerogative presidenziali, la cui mancata diluizione segue una parabola della sovranità inversa a quella presente negli stati costituzionali contemporanei, offrendo al Presidente ampi poteri di controllo, intervento e stimolo.

La Bielorussia, in quanto Repubblica presidenziale, elegge il proprio Presidente con voto diretto, universale, libero, paritario e segreto, per un mandato di cinque anni. È eleggibile qualsiasi cittadino bielorusso di almeno 35 anni che goda del diritto di voto e risieda nel territorio nazionale da più di dieci anni. Al fine della candidatura sono necessarie inoltre 100,000 firme di cittadini bielorussi. L’elezione (sottoposta a quorum strutturale del 50% di aventi diritto) avviene tramite sistema di tipo majority2 con doppio turno in caso di mancato raggiungimento della maggioranza assoluta da parte di un candidato, con ballottaggio fra i due più votati. Da sottolineare è anche la presenza dell’opzione (di tradizione sovietica) di voto “contro tutti3.

Il Presidente è garante della Costituzione e dei diritti dei cittadini. Egli partecipa con poteri chiave nell’attuazione dei principali orientamenti di politica interna ed estera del paese e personifica l’unità della nazione, di cui garantisce sicurezza ed integrità; gode di immunità ed il suo onore e la sua dignità devono essere protetti dalla legge.

Indice referendum, elezioni regolari e straordinarie degli organi rappresentativi statali e locali e scioglie le Camere. Ha il diritto di consegnare messaggi annuali al Parlamento, che non possono essere confutati nelle sedute, alle quali ha sempre diritto a partecipare, tenere discorsi e nominare ufficiali che ivi lo rappresentino.

Ha modo di formare, sciogliere e riorganizzare la propria amministrazione e quella di altri organi statali e locali nonché dei consigli consultivi. Emana decreti o ordini di valore obbligatorio, se necessario con forza di legge, della cui applicazione può assicurarsi direttamente o tramite la creazione di organismi speciali.

Il Presidente determina tutta la struttura del Governo, nomina il Primo Ministro con il consenso della Camera; nomina e congeda i ministri e gli altri membri. Può abolire gli atti del Governo e presiederne le riunioni, formare e dirigere il Consiglio di Sicurezza, nominarne e congedarne il Segretario di Stato.

Nomina e rimuove i presidenti delle Corti (Costituzionale, Suprema, Economica) e parte dei giudici, il presidente della Commissione Centrale della Repubblica (e alcuni membri di questa), quello del consiglio direttivo della Banca Nazionale ed il Procuratore Generale, con il consenso del Consiglio della Repubblica.

2 M. COTTA, D. DELLA PORTA, L. MORLINO, Scienza Politica, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 278-279.

3 OSCE, Elections in Belarus, https://www.osce.org/odihr/elections/belarus.

Egli è comandante delle forze armate, può condurre e concludere trattative internazionali e sospendere o differire uno sciopero per un periodo non superiore a tre mesi; esercita altri poteri conferitegli dalla legge e dalla Costituzione.

L’incarico presidenziale può essere revocato prematuramente nei casi di incapacità di assolvimento dei doveri dovuta allo stato di salute, mediante risoluzione della Camera adottata a maggioranza assoluta dei 2/3 dei deputati ed ugualmente per il Consiglio della Repubblica, sulla base dei risultati di una commissione d’inchiesta parlamentare ad hoc.

È prevista la rimozione dall’incarico per atti di alto tradimento e altri gravi crimini. La messa in stato d’accusa viene approvata a maggioranza assoluta della Camera su proposta di almeno 1/3 dei deputati. L’indagine dell’accusa è condotta invece dal Consiglio, mentre la decisione finale viene adottata a maggioranza assoluta dei 2/3 di entrambe le Camere. La mancata decisione parlamentare sulla destituzione entro un mese dalla proposta ne invalida l’esito. La procedura non può essere avviata nel corso delle consultazioni per lo scioglimento anticipato del Parlamento.