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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

In seguito agli orrori della seconda guerra mondiale è nata una fortissima corrente di opinione basata sulla tutela ed il rispetto dei Diritti Umani, già con la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sono stati diversi i tentativi di dare origine ad una prassi che ne garantisse il rispetto. Il problema di fondo, soprattutto nell’ambito dell’ONU, è che organizzare una tutela universalistica dei Diritti Umani, che sia effettivamente efficace, non è un’impresa da poco, data la difficoltà nel mettere d’accordo (anche su quelli che consideriamo i diritti più basilari) una moltitudine tanto eterogenea di stati. Di fronte a questa grande difficoltà, si è quindi tentato di dare una tutela ai Diritti Umani non più universale, ma bensì regionale, riuscendo così ad arrivare a dei risultati molto più soddisfacenti in quanto ad efficacia. Tra questi tentativi “regionali”, quello di gran lunga migliore si trova nel Vecchio Continente, si tratta della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è entrata in funzione nel 1959, dopo essere stata istituita dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 (entrata in vigore nel 1953), essa ha sede a Strasburgo ed è un organo unico nel suo genere. Ciò che la rende unica ed assolutamente rivoluzionaria è la considerazione che ha degli individui, infatti questi ultimi hanno la possibilità di presentare ricorsi nei confronti di stati che hanno violato la Convenzione direttamente davanti alla Corte e possono partecipare a pieno titolo al processo. La Corte inoltre ha la capacità di emettere pronunce giudiziarie giuridicamente vincolanti, che creano quindi dei veri e propri obblighi giuridici nei confronti degli stati rei di aver violato la Convenzione. Queste particolarità della Corte possono sembrare normali in un’ottica di diritto interno, ma, a livello internazionale, sono davvero rivoluzionarie. Gli stati infatti sono di norma davvero restii ad assumersi obblighi per ciò che riguarda la tutela dei Diritti Umani, inoltre, il fatto che venga dato tanto spazio all’azione individuale è davvero uno strappo al diritto internazionale classico, in cui ad avere rapporti con gli stati erano solo altri stati, ed era impensabile che un individuo potesse ergersi allo stesso livello di uno stato, figuriamoci trascinarlo a giudizio! Infine, gli individui, per presentare ricorso davanti alla Corte, non necessitano nemmeno di avere la cittadinanza di uno degli stati ratificanti la Convenzione, l’unico presupposto necessario è che si trovino sotto la potestà di imperio di uno stato ratificante nel momento della violazione dei propri diritti. Per potestà di imperio si intende una situazione in cui uno stato esercita dell’autorità su un individuo, perciò questo può accadere anche al di fuori del territorio dello stato.

I risultati raggiunti in termini di efficacia da parte della Corte non sono di certo caduti dal cielo, come già detto, gli stati sono estremamente restii a prendersi questo genere di obblighi, perciò dare uno sguardo a come essa si è formata ed evoluta nel tempo può essere utile nel dimostrarne la totale straordinarietà. Per prima cosa va fatto riferimento al Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale in seno a cui è nata la Corte. Il Consiglio d’Europa nasce nel 1949, periodo in cui si andavano scoprendo gli orrori dei nazi-fascisti e si chiudevano i Processi di Norimberga. La classe dirigente dell’epoca voleva lasciarsi alle spalle quelli orrori e far si che non venissero mai ripetuti, il Consiglio si fondava infatti su 3 valori fondamentali: il rispetto dei Diritti Umani, la preminenza del diritto ed i principi della Democrazia. Per perseguire questi ideali, il 4 novembre del 1950, a Roma, venne adottata la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Questa entrò in vigore nel 1953 e, assieme ad un elenco chiaro dei Diritti Umani che gli stati ratificanti dovevano garantire e rispettare, prevedeva la creazione di una Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo e di una Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte era nata, ma, attenzione, non era l’organo che conosciamo adesso. Prima ho sottolineato diverse volte quanto fosse straordinario che gli stati avessero deciso di sottoporsi al giudizio vincolante della Corte, ora vi spiegherò l’ingegnoso escamotage messo in atto per rendere possibile questa impresa. Per quanto riguardava le richieste più “scabrose”, la Convenzione prevedeva un processo graduale: 2 clausole facoltative. Queste clausole prevedevano l’accettazione da parte degli stati della capacità della Corte di emettere giudizi vincolanti e la possibilità per gli individui di farvi ricorso. In questo modo gli stati erano più propensi a ratificare la Convenzione, impegnandosi perciò a rispettare e garantire i Diritti Umani che prevedeva, ed in seguito, quando lo ritenevano più giusto, potevano accettare le due clausole (non per forza assieme) vincolandosi a ciò che implicavano. Per farvi un esempio, l’Italia ratificò la Convenzione nel 1950, per poi accettare le due clausole nel 1973. Senza l’accettazione delle clausole il meccanismo di garanzia era certamente più limitato, prevedendo che fossero gli stati ratificanti a denunciarsi tra loro davanti alla Commissione, che gli proponeva un “regolamento amichevole” e, nel caso venisse rifiutato, deferiva il caso al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa così che lo giudicasse. (Da notare c’è che il Comitato fosse un organo politico insignito di poteri giudiziari). Con il passare del tempo, e la graduale accettazione delle clausole facoltative da parte degli stati, si è arrivati a quello che è ora l’attuale sistema di garanzia dei Diritti Umani in seno al Consiglio d’Europa. Sto parlando del Protocollo 11 del 1998, una vera e propria svolta epocale.

Il Protocollo eliminava di fatto il meccanismo precedente e prevedeva:

  • L’abolizione della Commissione, per cui ora individui e stati possono appellarsi direttamente alla Corte
  • La rimozione di qualsivoglia potere giudiziario al Comitato dei Ministri
  • L’integrazione del contenuto delle clausole facoltative all’interno della Convenzione, per cui d’ora in avanti il loro contenuto diveniva vincolante anche per gli stati che non le avevano accettate, l’importante è che abbiano ratificato la Convenzione
  • La piena capacità per gli individui di partecipare a pieno titolo ai processi davanti alla Corte

Con il meccanismo previsto dal 1998 la Corte rappresenta un vero e proprio unicum nella tutela internazionale dei Diritti Umani, pur avendo comunque alcuni limiti rappresenta comunque il tentativo meglio riuscito in questo campo.

Per i curiosi rispetto alla vera e propria prassi della Corte, sintetizzerò alcuni casi in cui si è pronunciata:

  • Caso Isayeva vs Russia: la ricorrente asseriva che, nel febbraio del 2000, degli aerei russi avessero messo in atto degli attacchi indiscriminati sul suo villaggio in Cecenia. Il governo russo affermò che nel villaggio ceceno fossero nascosti dei ribelli e di aver perciò preventivamente indicato un corridoio sicuro per la fuga della popolazione civile prima che cominciasse l’attacco. La Corte investigò a fondo sulla faccenda, concludendo che le autorità russe avessero sì annunciato dei corridoi sicuri, ma solo dopo l’inizio dei bombardamenti, inoltre senza rispettarli. Per la Corte la Russia aveva quindi violato l’Art.2 della Convenzione, esso disciplina il Diritto alla Vita degli individui, per cui ad uno stato è consentito privare della vita un individuo solo se “assolutamente necessario per difendere una persona da violenze illecite”, perciò il ricorso alla forza letale deve essere tale da ridurre al minimo il rischio per la vita umana.
  • Caso X e Y vs Olanda: negli anni ottanta, una ragazza minorenne ed affetta da handicap venne violentata in un ospizio privato. Il padre della ragazza presentò così un ricorso verso il giudice olandese, che però lo respinse, poiché riteneva che non vi fossero abbastanza prove per l’accusa di violenza carnale, mentre per l’accusa di violenza su minori era necessaria la testimonianza della minore violentata, impossibile dato il suo handicap. Il padre fece perciò ricorso alla Corte, trascinando a giudizio l’Olanda. La Corte si espresse con una sentenza nel febbraio del 1985, affermando che lo stato avesse violato l’Art.8 della Convenzione, che disciplinava il rispetto della “vita privata” degli individui, tutelandone perciò anche la vita sessuale. Per la Corte, il fatto che la legislazione olandese lasciasse impunita la persona che aveva violentato la ragazza, comportava che questa la lasciasse senza una pratica ed efficace tutela del suo diritto sancito dall’Art.8. La Corte impose quindi un risarcimento verso la vittima da parte del governo olandese, che venne anche esortato a modificare la sua legislazione.
  • Caso Söring vs Regno Unito: Söring era un cittadino tedesco che studiava in Virginia (negli USA), a 18 anni, assieme alla sua fidanzata, uccise i genitori di quest’ultima, per poi scapparci assieme in Inghilterra. In Inghilterra i due ragazzi vennero arrestati, la ragazza venne subito estradata negli USA, dove fu condannata a 90 anni di carcere. Il discorso era diverso per il ragazzo, quest’ultimo sarebbe stato sottoposto alla pena di morte se fosse stato estradato. Durante le negoziazioni tra Inghilterra e USA, Söring ricorse alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per bloccare l’estradizione, appellandosi all’Art.3, che vieta agli stati di sottoporre gli individui a trattamenti inumani o degradanti e di sottoporli a tortura. La Corte affermò che alcuni Diritti, come quello sancito dall’Art.3, sono tanto importanti da imporre agli stati contraenti di astenersi da qualunque genere di azione che possa contribuire a lederli. In questo caso giudicò che la pena di morte fosse un trattamento inumano, perciò impose all’Inghilterra di non estradare Söring senza la certezza che non venga sottoposto alla pena capitale. Il ragazzo venne infatti estradato successivamente, quando il governo inglese ebbe la certezza che questo non sarebbe stato sottoposto alla pena di morte.